Si parla tanto di spontaneità. A volte come se fosse un valore assoluto, come se fosse un sinonimo di genuinità, purezza, libertà. Perfezione.
Quando si applica per la prima volta una tecnica a un principiante, di solito assistiamo a comportamenti del suo corpo abbastanza frequenti:
- si gira, dando la schiena al compagno;
- collassa a terra al minimo sbilanciamento;
- si contorce, procurandosi da solo leve controarticolari terribili;
- se ha appreso i fondamentali della caduta, proverà a cadere anche senza alcun invito.
Possiamo dire che siano reazioni spontanee ad una condizione psicofisica nuova. Eppure, nella spontaneità di mettersi da soli in posizioni pericolose o dolorose, non c’è nulla di perfetto.
Infatti, gran parte dell’allenamento in una disciplina marziale, è mirato a sviluppare una crescente consapevolezza. Da un lato su come condurre un’azione, dall’altro su come riceverla nel modo più funzionale possibile. Per questo, nell’AIkido, 受け身 – ukemi non è tanto la caduta, quanto la capacità di ricevere quanto arriva.
La correzione di un movimento spontaneo in quanto inconsapevole verso un movimento funzionale e quindi libero all’interno di regole è un processo complesso.
Complesso perché la fatica della correzione non è mai piaciuta a nessuno.
Ed è ancor più difficile in una società molto assertiva in cui spesso l’espressione spontanea e personale tende a diventare norma autoreferenziale in una società in cui le relazioni tendono a dissolversi, insieme alle regole sociali che le dovrebbero tenere unite.
Eppure, la pratica dell’Aikido, al pari di ogni Arte Marziale, insegna che la spontaneità e la libertà conoscono il limite che è dato dalla fisica dell’interazione tra i nostri corpi.
Siamo liberi di dare la schiena -al nostro compagno di pratica o alla vita. Ma dobbiamo accettare le conseguenze di esserci esposti.
Siamo liberi di muoverci mettendoci in leva da soli. Ma il dolore all’articolazione sarà da imputare alla nostra scelta e al nostro movimento.
Nell’Aikido non è di aiuto la vulgata corrente che traduce 武産合氣 – takemusu aiki come l’Aiki(do) che sgorga spontaneamente. In realtà, in chiave introspettiva, il significato è la creazione di una connessione tra corpo e mente nell’arte marziale. In chiave relazionale è la creazione, attraverso la relazione, del potere.
Un potere spontaneo o un potere consapevole?
Se guardiamo agli infortuni sul tatami, avvengono solo e sempre perché nella coppia è mancata la consapevolezza. O uno ha “tirato” troppo forte la tecnica o l’altro ha ricevuto in modo disfunzionale. In entrambi i casi sono venute meno le regole di ingaggio.
Regole che non rendono meno libero o spontaneo né il movimento né lo scopo della pratica ma al contrario, creano una cornice che valorizza ancor di più il quadro che si compone e si dissolve ad ogni esercizio sul tatami.
Disclaimer: foto di Anna Tarazevich da Pexels